DA SCARTO A VALORE AGGIUNTO: BIOECONOMIA E CONSUMER SCIENCE

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Ogni anno l’industria alimentare produce enormi quantità di scarti lungo tutta la filiera di produzione. Lo smaltimento di tali scarti risulta avere un forte impatto ambientale, poiché, in quanto materiale organico, genera metano incrementando l’effetto serra (FAO, 2013).

La bioeconomia si propone come strumento chiave per la risoluzione di tali problematiche. In un’ottica bioeconomica, la sfida attuale a livello globale è infatti quella di produrre in maniera sostenibile, per una popolazione in continua crescita, alimenti ad alto valore nutrizionale e sicuri, sviluppando fonti di energia ecologiche che contrastino il riscaldamento globale (Kristinsson & Jörundsdóttir, 2019).

Nasce quindi l’esigenza di riutilizzare i sottoprodotti dell’industria alimentare, con evidenti proprietà nutrizionali, trasformando così residui di produzione in risorse disponibili. Il pomodoro, ad esempio, rappresenta uno dei vegetali più consumati al mondo e come tale, dalla sua catena di produzione vengono generati  ingenti quantità di scarti. Caratterizzati perlopiù da bucce e semi, questi scarti contengono elevate quantità di componenti bioattive come fibre, antiossidanti, grassi insaturi e amminoacidi essenziali. Grazie a queste caratteristiche, esso trova ormai numerose applicazioni sotto forma di concentrato, utilizzato come ingrediente funzionale nella produzione di snack, farine e carni (Lu et al., 2019).

Obiettivo al centro di numerosi studi scientifici è quello di recuperare e sfruttare al meglio queste tipologie di scarti alimentari, ricchi di componenti bioattive, producendo categorie di alimenti dal valore aggiunto chiamati appunto functional foods (alimenti funzionali). Un prodotto alimentare può essere considerato funzionale solo se, assunto come parte della normale dieta, ha effetti benefici su una o più funzioni dell’organismo umano, migliorando così le condizioni generali e fisiche o/e diminuendo il rischio di sviluppo di malattie (Diplock et al., 1999).

Una delle maggiori sfide che scienziati, sviluppatori e produttori stanno affrontando è proprio quella dell’apprezzamento di questa categoria di prodotti da parte dei consumatori.

In questa prospettiva, interessante è l’approccio di Coderoni e Perito (2020) in Sustainable consumption in the circular economy. An analysis of consumers’ purchase intentions for waste-to-value food. Una ricerca svolta in Italia, che studia come le caratteristiche socio-demografiche e psicologiche, possano influire sull’accettabilità al consumo di nuovi prodotti derivanti da un’economia circolare. L’indagine è stata sviluppata tramite sondaggio online e divulgato mediante piattaforme social networks. Il questionario consisteva di due quesiti fondamentali: la propensione ad acquistare cibi che hanno come valore aggiunto componenti derivanti da scarti alimentari di altre produzioni (Quesito 1) e la disponibilità a comprare quest’ultimo, sapendo di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale (Quesito 2). Entrambi i quesiti sono stati correlati con diversi fattori socio-economici e psicologici (come schematizzato in Figura 1) e sottoposti alla valutazione dei consumatori tramite scala Likert a 5 punti (1= fortemente in disaccordo; 5= fortemente in accordo).

Figura 1. Alcune delle variabili socio economiche e psicologiche correlate al desiderio di acquisto dei prodotti WTV (waste-to-value).

I risultati dello studio confermano come stia cambiando la percezione del consumatore legata alla salvaguardia dell’ambiente. Entrambi i quesiti hanno ricevuto responsi positivi e la propensione ad acquistare un cibo che contenga come valore aggiunto una componente derivata dalle lavorazioni di scarti o sottoprodotti, aumenta sensibilmente nel momento in cui quest’ultimo è legato alla riduzione dell’impatto ambientale. Questo studio rappresenta solo un primo passo verso l’analisi dell’eventuale contributo dei consumatori alla bioeconomia nel settore alimentare. Lo sviluppo di prodotti WTV potrebbe contribuire a rendere più affidabile questo tipo di analisi, consentendo però ai consumatori di testare i prodotti al fine di valutare anche la loro accettabilità sensoriale.

Sebbene il giudizio principe che valuta un alimento funzionale non sia quello del solo gusto in sé per sé, molti studi scientifici dimostrano che il gradimento del consumatore anche per questa categoria di prodotti sia  proprio focalizzato maggiormente su quest’ultimo (Bech-Larsen & Grunert, 2003; Cox, et al., 2004; Verbeke, 2005; Saher et al., 2004; Frewer et al., 2003).

Una questione rilevante è capire quanto il consumatore sia disposto ad accettare un compromesso tra il  gusto “originale” di un alimento e il suo derivato con componenti funzionali che comportano benefici salutari (Urala & La¨hteenma¨ki 2004).

Attraverso la consumer science è possibile valutare l’accettabilità di un prodotto in tutte le sue fasi, dalla produzione al consumo. In accordo con Curutchet et al. (2019) in Blueberry pomace as a source of antioxidant fibre in cookies: Consumer’s expectations and critical attributes for developing a new product, l’accettabilità di un prodotto può già essere stimata tramite un sondaggio online da cui si ottiene una prima valutazione (expected quality). Lo studio dimostra come l’aspettativa del prodotto non sempre coincida con la qualità percepita durante l’assaggio. I biscotti, oggetto di studio, contenevano residui della produzione di succo di mirtillo come fonte di fibre e antiossidanti naturali. In fase di accettabilità tramite il sondaggio online, i biscotti hanno ottenuto, da parte dei consumatori, una valutazione soddisfacente. Al contrario, in fase di assaggio, sia blind (senza sapere quale fosse il biscotto arricchito e quale no) sia a conoscenza delle caratteristiche dei due prodotti, la valutazione è risultata insoddisfacente non rispondendo alle aspettative.

Un altro interessante approccio per verificare l’accettabilità di un prodotto da parte del consumatore è dato dallo studio di Farah et al. (2017), Analysis of yoghurts’, whey-based beverages’ and fermented milks’ labels and differences on their sensory profiles and acceptance, dove oggetto di studio sono delle bevande a base di siero derivante dalla produzione di latte fermentato e yogurt. L’analisi comprende tre tipologie differenti di test. Un primo test viene effettuato per verificare la familiarità con i prodotti in questione tramite il riconoscimento dell’etichetta. Il secondo step prevede un test di accettabilità usando una scala edonistica a 9 punti (1= non mi piace per nulla, 9= mi piace molto) seguito da una domanda sulla frequenza di consumo. Infine come ultimo test viene proposto un CATA (check-all-that-apply). Dal punto di vista pratico, durante questo test, al consumatore è presentata una lista di attributi inerenti al prodotto e gli è chiesto di scegliere tra questi, quali sono quelli che secondo lui più lo descrivono. Tramite questo tipo di test è possibile quindi rilevare la percezione di attributi caratterizzanti il prodotto (es. attributi sensoriali) e studiare quali determinano il suo apprezzamento complessivo.

Figura 2. MFA (Multiple Factor Analysis) sviluppata associando i dati ottenuti con il CATA e quelli ottenuti tramite il test di accettabilità degli yogurt (YO), latti fermentati (FM) e bevande arricchite con siero (WB).

In Figura 2. è riportato il grafico relativo alla Multiple Factor Analysis (MFA) che raccoglie i dati relativi al test di accettabilità (metodo affettivo) e i dati ottenuti dal CATA test (metodo descrittivo). Il grafico mostra come i campioni più associati ad un alta accettabilità (YO2, WB2) siano quei campioni caratterizzati da viscosità, presenza di polpa e corposità. Nonostante le differenze nella formulazione dei prodotti, gli attributi sensoriali citati ne spiegano quindi l’accettabilità da parte del consumatore. Queste informazioni possono essere di grande aiuto nell’ottimizzazione di questo tipo di prodotti da parte delle industrie.

I dati ottenuti attraverso il CATA possono essere sottoposti a diversi approcci statistici, con l’obiettivo di ottenere delle mappe per meglio rappresentare similitudini e differenze tra i prodotti in termini di caratteristiche sensoriali. Il CATA test, insieme ad altri test rapidi (Napping, Sorting, Flash Profile), rappresenta uno degli strumenti più efficienti della consumer science. Essendo un metodo rapido, di facile utilizzo e comprensione da parte del consumatore, esso viene utilizzato per molteplici scopi: ottimizzazione dei prodotti; identificazione di driver di gradimento; sviluppo di mappe di preferenza; investigare la percezione del consumatore per i claim o informazioni di prodotto; come supporto nello sviluppo di prodotti innovativi (Ares & Verela, 2018).

In conclusione, gli strumenti di cui è dotata la consumer science permettono di indagare sempre più a fondo i driver che guidano le scelte del consumatore. La comprensione di ciò, oltre a poter ridurre sempre più il gap tra aspettativa e gradimento, informa e orienta, in modo consapevole, il consumatore in una direzione il più possibile compatibile con la produzione ed il consumo sostenibile, in accordo con i principi della bioeconomia.

A cura di Giulia Maria Daniele e Nico Lippi, CNR – Istituto per la BioEconomia.

Bibliografia:

  • FAO, 2013. Food waste harms climate, water, land and biodiversity. http://www.unep.org/news-and-stories/press-release/food-waste-harms-climate-water-land-and-biodiversity-new-fao-report
  • Kristinsson, H. G., & Jörundsdóttir, H. O. (2019). Food in the bioeconomy. Trends in Food Science & Technology, 84, 4–6.
  • Lu, Z., Wang, J., Gao, R., Ye, F.,& Zhao, G. (2019). Sustainable valorisation of tomato pomace: A comprehensive review. Trends in Food Science & Technology 86, 172–187.
  • Diplock, A.T. , Aggett, P.J.,  Ashwell, M., Bornet, F., Fern, E.B., & Roberfroid M.B. (1999). Scientific concepts of functional foods in Europe: consensus document. British Journal of nutrition, 81,S1-S27.
  • Coderoni, S. & Perito, M. A. (2020). Sustainable consumption in the circular economy. An analysis of consumers’ purchase intentions for waste-to-value food. Journal of Cleaner Production 252,
  • Bech-Larsen, T., & Grunert, K. G. (2003). The perceived healthiness of functional foods— A conjoint study of Danish, Finnish and American consumers’ perception of functional foods. Appetite, 40, 9–14.
  • Cox, D. N., Koster, A., & Russell, C. G. (2004). Predicting intentions to consume functional foods and supplements to offset memory loss using an adaptation of protection motivation theory. Appetite, 33, 55–64.
  • Saher, M., Arvola, A., Lindeman, M., & La¨hteenma¨ ki, L. (2004). Impressions of functional food consumers. Appetite, 42, 79–89.
  • Frewer, L., Scholderer, J., & Lambert, N. (2003). Consumer acceptance of functional foods: Issues for the future. British Food Journal, 105, 714–731.
  • Urala, N., & La¨hteenma¨ ki, L. (2004). Attitudes behind consumer’s willingness to use functional foods. Food Quality and Preference, 15, 793–803.
  • Curutchet, A., Cozzano, S., Tárrega, A., & Arcia, P. (2019). Blueberry pomace as a source of antioxidant fibre in cookies: Consumer’s expectations and critical attributes for developing a new product. Food Science and Technology International25(8), 642-648.
  • Farah, J. S., Araujo, C. B., & Melo, L. (2017). Analysis of yoghurts’, whey-based beverages’ and fermented milks’ labels and differences on their sensory profiles and acceptance. International Dairy Journal, 68, 17-22.
  • Ares, G. & Varela, P. (2018). Chapter 8 – Consumer-Based Methodologies for Sensory Characterization. Methods in Consumer Research, Volume 1.Woodhead Publishing Series in Food Science, Technology and Nutrition, 187-209.